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martedì 26 ottobre 2021
mercoledì 19 maggio 2021
MUSICA, ARTE, BELLEZZA E SPERANZA OGGI.
Musica a Teatro: Mariangela Ungaro
"La musica come missione"
"...il mondo ha bisogno di persone che dimostrino che c'è ancora tanta bellezza nel mondo!"
sabato 11 febbraio 2017
IL CIELO SOPRA BERLINO
TRATTO DA "CINEMA D'ASCOLTO" di Mariangela Ungaro
Il cielo sopra Berlino (Der Himmel über Berlin) è un film del 1987 diretto da Wim Wenders. Le poesie di Rainer Maria Rilke hanno parzialmente ispirato il film: Wenders ha dichiarato che gli angeli vivono nelle poesie di Rilke. Il regista ha chiesto la collaborazione di Peter Handke per scrivere molti dei dialoghi, e nel film ricorre spesso la poesia Lied vom Kindsein. Presentato in concorso al 40º Festival di Cannes, ha vinto il premio per la migliore regia. Ha avuto un sequel, Così lontano così vicino (1993), ed un remake statunitense, City of Angels - La città degli angeli (1998).
Musiche di Jürgen Knieper. I brevi titoli di coda hanno un accompagnamento affidato al violoncello con tutti i gestualismi tipici del genere musicale classico colto contemporaneo. Le scene che seguono non le indagherei tanto dal punto di visto musicale, tanto invece come “verbo”, comunicazione: la parola, i discorsi che si sovrappongono, le voci di tutti i personaggi che scorrono e si sentono senza soluzione di continuità ci danno una sensazione di apparente confusione, si tratta di un uso molto particolare della comunicazione verbale o non verbale (molte delle voci sono pensieri personali dei personaggi ripresi) quindi la musica che qui è un pedale sonoro fermo, non può davvero far altro che “tacere” nel suo suono fisso, corale, armonizzato con micro movimenti, come fosse una fascia sonora appena cangiante.
I due angeli possono solo guardare, osservare e testimoniare ciò che succede nel mondo: questo genera frustrazione soprattutto in uno dei due, Damiel, che vorrebbe invece vivere davvero. La musica che accompagna la scena è musicata con violoncello e quartetto d’archi molto cameristico, appena percepito, triste e mesto, con movimenti lenti a maglie larghe. Serve a conferire fissità e dramma, e dramma proprio per la sua fissità, come la condizione in cui sono i due angeli…solo guardare, non esperire e vivere.
Nella biblioteca sentiamo le fasce fisse con coro e voci soliste molto drammatiche, mentre i due angeli osservano gli astanti e ascoltano le loro voci mentre con la mente leggono e imparano dai libri. La musica conferisce solennità.
Lo scrittore anziano invece è musicato col violino solista, una voce che sembra uscita da un film di campi di concentramento: un vecchio con voce spezzata, il suo racconto si lega ancora al profondo. Sta morendo.
In metropolitana uno degli angeli si avvicina ad un uomo completamente distrutto, abbandonato da tutti: l’angelo gli siede vicino, (l’arpa vibra su un glissando portatore di grande felicità), assolutamente non visto, e l’uomo percepisce un senso di pace, sa che ora, per qualche motivo a lui sconosciuto, potrà risollevarsi e farcela, se lo vuole davvero. Emblematico che proprio mentre l’uomo affranto decide il risveglio del suo cuore, si senta la canzoncina di un bimbo (probabilmente trattasi di musica in, dal momento che poco prima era stato ripreso un bambino sulle ginocchia del padre addormentato, magari è quel piccolo a canticchiare… “Se non ritornerete come bambini, non entrerete mai”, l’infanzia è a chiave della salvezza).
Mentre osserva un bimbo sul marciapiede, che non trova il coraggio di chiedere ai compagni di giocare, l’angelo Damiel viene attirato dalla musica suonata da una orchestrina da caffè francese con fisarmonica: il suono proviene da un circo. Sul trapezio, una ballerina con ali d’angelo. Si lamenta delle ali, degne di una vecchia gallina, e della musica: “Sembra di stare al ballo dei pompieri!” canzona lei i musicisti. Il circo si sta per chiudere, è fallito. La donna sente molto il dolore del fallimento.
Durante tutto il successivo soliloquio mentale della donna (di cui udiamo la voce, perché guardiamo e ascoltiamo come l’angelo presente, ma sappiamo che la donna sta parlando solo nella sua mente), la musica è un valzer straniato, andamento classico in tre col primo battito cadenzato e ritmicamente in evidenza; spicca una voce di donna solista con riverbero e sovrapposizione spesso asincronica, come fosse una coda d’eco, di voce maschile; armonia e melodia sembrano proprio fare due cose diverse, non c’è accordo tra le parti: nel soliloquio della donna si può percepire una certa schizofrenia di sentimenti contrastanti e poco chiari, eppure intrisi di vera poesia e autentica profondità. Solo dopo un’ora e più di film ho capito che si trattava di un pezzo di Nick Cave: la donna infatti è una sua fan e proprio al suo concerto lei incontrerà l’angelo ormai incarnato. E il pezzo è lo stesso, ma si vede la locandina, il cantante e l’esibizione live.
La scena successiva: l’angelo assiste gli ultimi momenti di un uomo morente. Mentre udiamo i rumori di scena, le macchine che passano incuranti sull’asfalto, l’uomo morente pensa alle futilità della vita, ricorda qualche caro, vorrebbe chiedere scusa…Poi le sue parole si fondono, si sincronizzano con quelle che l’angelo sta recitando per la sua anima. Si unisce la musica al violoncello, cui si aggiungono altri strumenti da ensemble da camera, quando l’angelo lascia il moribondo alle cure di un passante buon Samaritano.
La musica procede accompagnando le scene successive, quando incontriamo nuovamente il vecchio poeta, mentre il violino solista grida il suo dolore, con arpa (che vorrebbe imitare la cetra degli Aedi) in contrappunto saltuario: “Nessun è ancora riuscito a intonare un’epos di pace. Che cos’ha la pace per non entusiasmare a lungo, e che nemmeno si presta al racconto? Devo darmi per vinto? Se rinuncio, l’umanità perderà il suo cantore, e perderà l’infanzia”.
"Dove sono i miei eroi... i duri di comprendonio ... Chiama oh Musa colui che da angelo del racconto è diventato suonatore di organetto anonimo o deriso, alle soglie della terra di nessuno".
Al disagio esistenziale del vecchio scrittore, si contrappone il discorso pratico (e per certi versi attualissimo) dell’angelo Cassiel che ha notato un crearsi di monadi umane che non comunicano più. E’ accompagnato dal quartetto d’archi.
Riascoltiamo le fasce sonore fisse quando ci ritroviamo sul set di un film dedicato al nazismo. La musica cambia nel violoncello tematico, scuro e drammatico quando l’attore di punta riflette sulle sue miserie personali. Sembra che le fasce sonorizzino le scene di massa acritica, mentre le miserie private sono affidate al profondo violoncello, associato alla morte.
La musica che accompagna il giovane suicida è un motivetto stranamente vuoto e leggero, a-problematico per synth e voce femminile appena accennata, senza testo, solo la vocale A sussurrata. Il ragazzo sta per compiere il gesto estremo, mentre ragiona nella mente, i passanti gridano, ma lui è sereno. L’angelo lo accompagna, gli sta vicino ma non può interagire con lui, né fermarlo.
Torniamo a sentire la convulsa musica per archi con pizzicati ed altri gesti tratti dalla musica colta contemporanea, mentre vediamo le scene concitate della città di Berlino che ignora i deboli, in un turbine veloce e acritico di vite e di sopravvivenza.
Tutta la scena dello spettacolo circense della ballerina trapezista è accompagnato da musica in, che ricorda i film di 007, suonata dal vivo. Sax vellutati e seducenti imitano le movenze fluide della donna, mentre la batteria e il piatto sospeso accentuano la fine delle diverse figure, dando il cenno all’applauso da parte del pubblico. Ritroviamo la donna che canta un po’ brilla insieme ad un circense a voce viva una canzone, poi in un locale dove si sta esibendo Cave e la sua band, in un pezzo davvero triste, rock lentissimo, sound anni ’70.
L’angelo decide di vivere come un umano: le sue impronte si vedono, il mondo appare a colori e un accordo orchestrale leggero e maggiore illumina il volto dell’uomo ora.
L’uomo incontra finalmente la donna amata: lei gli parla come sincera poetessa, è profonda, primordiale. Lui annuisce. Sono Amore allo stato puro. Li accompagna il quartetto d’archi e le parti più enigmatiche e profonde sono affidate alla voce del violoncello, come se lo strumento ne potesse approfondire il senso.
L’ultima scena è affidata al vecchio scrittore, che ha ritrovato la forza: il mondo ha bisogno di lui e delle sue storie, ora più che mai. Parole intelleggibili, canti di donne, coro fisso e fasce di pedale immote sonorizzano i titoli di coda.
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